La battaglia per salvare l’agricoltura europea: quando il cibo diventa politica

Il grido d’allarme dalla Campania: “L’Europa non sacrifichi la Pac sull’altare del Fondo unico”
C’è un’Europa che nasce nei campi, fatta di mani che lavorano la terra e di tradizioni che si tramandano di generazione in generazione. Ed è proprio questa Europa che oggi rischia di essere sacrificata sull’altare di una riforma che potrebbe cambiare per sempre il volto dell’agricoltura continentale.
Il grido d’allarme arriva forte e chiaro dalla Campania, dove Carmine Fusco, commissario della CIA regionale, ha lanciato un appello che ha il sapore dell’ultima chiamata: “L’agricoltura europea è sotto attacco e non possiamo restare in silenzio”. Parole che pesano come macigni, pronunciate alla vigilia di un Consiglio europeo che potrebbe segnare una svolta epocale.
Quando l’unione fa la forza (o la debolezza)
Al centro della polemica c’è il progetto di un Fondo unico europeo che la Commissione UE sta valutando. Un’idea che, sulla carta, potrebbe sembrare razionale: unificare le risorse destinate a vari settori per ottimizzare la gestione. Ma la realtà, come spesso accade, è più complessa.
“Il Fondo unico cancellerebbe l’autonomia della Pac, mescolando priorità troppo diverse”, spiega Fusco. È come voler mettere nello stesso calderone agricoltura, salute, energia e ricerca, costringendoli a competere tra loro per le stesse risorse. Il risultato? Un pericoloso gioco a somma zero dove qualcuno inevitabilmente perderà.
Più di soldi: una questione di identità
Ma questa non è solo una battaglia sui numeri del bilancio europeo. È una questione che tocca l’identità stessa del progetto europeo. La Politica Agricola Comune non è solo uno strumento finanziario: è il simbolo di un’Europa che ha scelto di investire sulla propria autosufficienza alimentare, sulla tutela del territorio e sulla coesione sociale.
“Stiamo parlando di una politica che permette agli agricoltori di essere presidio del territorio”, sottolinea il commissario campano. E ha ragione: dietro ogni ettaro coltivato c’è una storia di resistenza all’abbandono delle aree interne, di lotta contro il cambiamento climatico, di presidio ambientale che nessun algoritmo può sostituire.
L’agricoltore, custode involontario del futuro
C’è qualcosa di profondamente poetico nel ruolo dell’agricoltore moderno. Non è più solo colui che produce cibo, ma è diventato il custode di un equilibrio delicatissimo: quello tra sviluppo e sostenibilità, tra tradizione e innovazione, tra economia e ambiente.
La Pac riconosce questa funzione multidimensionale, sostenendo non solo il reddito degli agricoltori ma anche il loro ruolo di guardiani del territorio. Indebolire questo strumento significa arretrare su tutti i fronti della sostenibilità, proprio nel momento in cui la crisi climatica richiede invece un’accelerazione degli sforzi.
Il paradosso dei tempi di guerra
In un momento storico segnato da tensioni internazionali e conflitti che minacciano le catene di approvvigionamento globali, l’Europa si trova di fronte a un paradosso: mentre dovrebbe rafforzare la propria sicurezza alimentare, rischia invece di indebolirla.
“L’Europa deve riaffermare i valori di pace e solidarietà, mettendo il cibo prima delle armi”, dice Fusco. Una frase che suona quasi ovvia, ma che nasconde una verità profonda: la sicurezza alimentare è sicurezza nazionale, e chi controlla il cibo controlla il futuro.
La mobilitazione dal basso
Non è un caso che la protesta si stia organizzando dal basso, dalle organizzazioni agricole locali fino alle grandi confederazioni europee. La CIA Campania, insieme alle altre organizzazioni del settore, sta costruendo un fronte comune che va dalle lettere alla premier Meloni fino alla petizione promossa da Copa-Cogeca.
È la dimostrazione di come, quando è in gioco qualcosa di veramente importante, la società civile sa ancora trovare la forza di reagire. Agricoltori che diventano attivisti, tecnici che si trasformano in portavoce, commissari regionali che si fanno megafono di un intero settore.
Il bivio europeo
Il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno rappresenta un vero e proprio bivio per il futuro dell’agricoltura europea. Da una parte c’è la strada dell’efficienza a tutti i costi, del risparmio che rischia di trasformarsi in miopia. Dall’altra c’è la via della visione strategica, che riconosce nell’agricoltura non un costo ma un investimento sul futuro.
La posta in gioco è altissima: non si tratta solo di decidere come allocare le risorse del prossimo bilancio europeo, ma di definire che tipo di Europa vogliamo essere. Un’Europa che protegge la propria sovranità alimentare o una che la sacrifica sull’altare di un’efficienza contabile che potrebbe rivelarsi illusoria.
La lezione della terra
Forse dovremmo imparare dagli agricoltori quella pazienza e quella lungimiranza che sembrano mancare ai decisori politici. Chi lavora la terra sa che non esistono scorciatoie: i frutti si raccolgono solo dopo aver seminato, curato, aspettato. La Pac è stata il seme di un’agricoltura europea forte e sostenibile. Sarebbe un peccato strappare la pianta proprio quando sta iniziando a dare i frutti migliori.
L’appuntamento con la storia è fissato per fine giugno. L’Europa ha l’occasione di dimostrare se è ancora capace di quel coraggio visionario che l’ha portata a nascere. Gli agricoltori stanno facendo la loro parte. Ora tocca alle istituzioni non deluderli.